Cosa sappiamo dell’attacco USA contro l’Iran

Nella notte tra sabato e domenica, gli Stati Uniti hanno condotto un’operazione militare di ampia portata contro tre siti nucleari in Iran. Tra i tre siti bombardati, il più importante è Fordo, sito nucleare scavato nella montagna iraniana e da anni al centro delle preoccupazioni dei governi, soprattutto quello israeliano e americano, e agenzie internazionali.

Gli obiettivi colpiti

I bombardamenti hanno coinvolto anche Natanz e Isfahan, ma Fordo è considerato l’obiettivo più rilevante e difficile da colpire. Costruito tra gli anni Novanta e i primi Duemila, è noto per la sua posizione sotterranea e fortificata, incastonato nella roccia a decine di metri di profondità. La sua esistenza è stata ammessa pubblicamente dall’Iran solo nel 2009, in seguito alla pressione internazionale, anche se i sospetti della sua operatività erano diffusi già da tempo.

Ciò che rende Fordo particolarmente difficile da attaccare è la sua conformazione fisica: la struttura principale si trova tra gli 80 e i 90 metri sotto terra, protetta da strati di roccia e cemento. Per raggiungerla, gli Stati Uniti hanno impiegato le cosiddette bunker buster, bombe progettate appositamente per penetrare sottoterra. Ogni ordigno di questo tipo pesa circa 14 tonnellate ed è in grado di bucare strati di cemento armato spessi fino a 18 metri. Solo pochi aerei, come i bombardieri B-2 Spirit, sono in grado di trasportarle, e infatti le bunker buster sono di esclusiva proprietà dell’esercito americano.

Vista satellitare del sito di Fordo prima dei bombardamenti americani

Operazione Martello di Mezzanotte

La missione, denominata Martello di Mezzanotte, si è concentrata soprattutto su un’azione di depistaggio: mentre una prima squadra di aerei, visibile ai radar civili, si dirigeva verso il Pacifico, facendo pensare a un’azione futura con partenza dalla base britannica di Diego Garcia, una seconda formazione invisibile ha preso la rotta opposta, sorvolando l’Atlantico e il Mediterraneo per raggiungere il Medio Oriente. L’obiettivo era mantenere il massimo effetto sorpresa, limitando ogni possibilità di intercettazione.

Secondo le dichiarazioni del generale Dan Caine, capo di Stato maggiore delle forze armate statunitensi, l’attacco ha avuto luogo in piena notte e si è svolto in coordinamento con caccia di supporto e aerei cisterna per il rifornimento in volo. Complessivamente, più di 125 velivoli hanno preso parte all’operazione, durata per un totale di 37 ore consecutive di volo: una delle più complesse degli ultimi anni nella regione.

Nonostante la potenza impiegata, l’efficacia dell’attacco resta in parte incerta. Le immagini satellitari disponibili mostrano danni in superficie, soprattutto nei pressi delle prese d’aria e degli accessi alla struttura, ma è difficile valutare quanto le infrastrutture sotterranee siano state compromesse. Le parole del presidente statunitense Donald Trump – che ha parlato di un’“annientamento totale” del programma nucleare iraniano – sono state successivamente ridimensionate da fonti militari più caute.

Il programma nucleare iraniano

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha dichiarato di non avere ancora dati sufficienti per stabilire l’entità del danno, e non sono stati rilevati aumenti nei livelli di radiazioni, il che farebbe pensare che le scorte di uranio non siano state compromesse. Intanto, l’Iran ha dichiarato di non aver subito danni al proprio programma nucleare, in quanto tutte le scorte erano state preventivamente spostate in altri siti nei giorni precedenti. È normale che l’Iran cerchi di ridimensionare la portata del danno subito, ma non si sa con certezza se il trasferimento delle scorte è realmente avvenuto e in che percentuale. Immagini satellitari dei giorni precedenti mostrano effettivamente diversi camion sul sito di Fordo.

Un altro elemento che complica la comprensione degli eventi è l’opacità del programma nucleare iraniano. L’Iran sostiene che i suoi impianti servano a scopi civili, ma le ispezioni passate hanno trovato uranio arricchito a livelli ben superiori a quelli necessari per usi pacifici. In un’occasione, l’AIEA ha rilevato materiale arricchito fino all’83,7 per cento, poco al di sotto della soglia necessaria del 90% per la fabbricazione di un’arma nucleare. Recentemente, stime più caute della stessa AIEA hanno indicato un arricchimento del 60%, comunque di molto al di sopra di quello necessario agli scopi civili.

I possibili scenari

La rappresaglia iraniana dopo il bombardamento statunitense si è limitata a nuovi lanci di missili contro città israeliane, senza colpire direttamente obiettivi americani. La scelta potrebbe riflettere la difficoltà per Teheran di sostenere un confronto diretto con gli Stati Uniti, sia per motivi militari che economici. Le sanzioni internazionali, infatti, hanno profondamente indebolito l’economia iraniana, che si trova sull’orlo del collasso, e diversi suoi alleati regionali, come Hamas o Hezbollah, si trovano oggi in condizioni di grande difficoltà o completamente annientati dopo gli attacchi mirati israeliani.

Intanto, l’Iran ha minacciato la chiusura dello stretto di Hormuz, una delle principali vie di transito del petrolio mondiale. Anche se questa decisione non è stata ancora formalizzata, ha già avuto effetti sui mercati internazionali, con un aumento del prezzo del greggio. Una chiusura effettiva danneggerebbe anche lo stesso Iran, che dipende dalle esportazioni di idrocarburi.

Il precedente più simile a quanto avvenuto oggi risale al 1981, quando Israele distrusse il reattore nucleare iracheno di Osiraq con un attacco aereo mirato. Ma le differenze sono significative: Osiraq era in superficie, mentre Fordo è sotterraneo; l’Iraq del tempo era isolato, mentre l’Iran mantiene una rete di alleanze e un arsenale, seppur limitato, di missili e droni.

Le tecnologie utilizzate nell’attacco evidenziano anche un cambiamento nei metodi di guerra contemporanei, una cosa che si era già potuta osservare nell’altra grande guerra contemporanea, quella tra Russia e Ucraina. La combinazione tra droni, aerei invisibili ai radar, e munizioni guidate con precisione millimetrica mostra quanto sia evoluto l’armamentario a disposizione di chi dispone di ingenti risorse militari. Questo squilibrio è evidente nel confronto con l’apparato difensivo iraniano, che non è riuscito nemmeno a rilevare la presenza degli aerei durante l’operazione.

Il fatto che nessun sistema di difesa sia entrato in funzione durante il bombardamento suggerisce un’efficacia elevata delle misure di elusione adottate dagli Stati Uniti, ma solleva anche interrogativi sulle reali capacità iraniane di difendere i propri obiettivi strategici. Al tempo stesso, però, la mancanza di una risposta può anche essere letta come una scelta deliberata di non aggravare l’escalation in corso.

È probabile che, al di là delle dichiarazioni pubbliche, una parte significativa del futuro del programma nucleare iraniano si giochi nei negoziati internazionali. Al momento le trattative si trovano in un momento di stallo e la recente intensificazione del conflitto potrebbe averle rese ancora più difficili: gli Stati Uniti avevano provato ad avere un ultimo confronto con una delegazione iraniana prima del bombardamento, ma senza successo. La possibilità di una soluzione diplomatica appare oggi più lontana. Intanto, il presidente turco Erdogan si è proposto come mediatore per evitare un’ulteriore inasprirsi del conflitto.

L’articolo Cosa sappiamo dell’attacco USA contro l’Iran proviene da IlNewyorkese.

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