E’ la settimana del Conclave. Se tutto andrà come previsto, fra sette giorni saremo qui a commentare il nuovo Papa.
Abbiamo già letto tutto e il contrario di tutto, abbiamo letto semplificazioni da talk politico, e dotti vaticanisti autorevoli ma oscuri come i cattivi giornalisti economici quando parlano con formule astruse della cosa più concreta del mondo, ovvero i soldi nelle nostre tasche.
Qui il coinvolgimento popolare, sondaggi alla mano sul fascino della Chiesa e della Fede, è un po’ più complesso, nonostante l’emozionante viaggio della bara di Papa Francesco sulla papamobile dal Vaticano a Santa Maria Maggiore in mezzo alla gente, la sua gente. Ed è da qui che bisogna ripartire, senza fare un toto nomi che capisco affascini i lettori, in un’epoca della percezione collettiva nutrita di game e reality.
La cappella Sistina non sarà la casa del Grande Fratello, anche se non mancherà la drammaturgia delle relazioni nei luoghi chiusi, alleanze, dis-alleanze, conflitti, veleni, calcoli, tecniche per la vittoria. Conclave, cum clave, invenzione dei miei avi viterbesi che stanchi delle lungaggini dei cardinali elettori (ben 33 mesi) li chiusero a chiave e scoperchiarono il tetto del palazzo papale.
Stavolta ci sono 133 cardinali di 71 paesi diversi, ben 108 sono stati nominati da Papa Francesco, che tra le tante sue doti sapeva fare anche politica e si è creato, diciamo così, un consistente pacchetto elettorale. Il gruppetto europeo è quello più consistente (53) ma la somma degli altri continenti supera l’Europa, che anche qui sembra aver perso la sua centralità.
Il quorum per entrare cardinale e uscire Papa è fissato a 90 elettori, ma ci sono molti, e la storia insegna , che entrano già Papi ed escono cardinali, cioè come sono entrati. Qualche nome tocca farlo ora: Parolin ( tra gli altri italiani in corsa ci sono pure Pizzaballa, Zuppi e Filoni) pare che abbia già 40 voti, frutto dei fitti dialoghi di questi giorni nelle cosiddette congregazioni.
Se fossi nel segretario di Stato di Francesco non starei tranquillo. C’è la truppa degli americani, e il ruolo di Trump il giorno dei funerali non è stato da poco. Un nome su tutti, Prevost, nato a Chicago ma con una lunga esperienza nell’America latina, in quel South del mondo che non coincide più con il limitato Occidente in crisi valoriale. E ci sono dunque le chance degli asiatici, degli africani.
Un puzzle complesso, ma l’eredità di Francesco è in quel viaggio e in quella Basilica in un quartiere multietnico di Roma. Una Chiesa che parli a tutti, che sappia leggere la storia e la società, diritti, poveri, giustizia sociale. E poi la riforma interna. E poi la geopolitica, le guerre, la pace sempre invocata e sempre impossibile. Una grande, e vitale, scommessa.
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