Sono uno dei pochi giornalisti, credo al mondo, convinto che il prossimo anno Donald Trump prenderà il Nobel per la pace. Magari mi sbaglio, vedremo. C’è comunque, nel nostro mestiere, il cosiddetto fact checking, cioè la verifica delle nostre idee e dei fatti.
Io credo che sia vero che mai come in questo momento, come dice Trump, si sia vicini forse alla pace o comunque almeno a una tregua, in una situazione complessa come quella dell’Ucraina, che si sta trascinando in una condizione statica sul campo e statica anche in termini diplomatici.
Ma veniamo al ruolo dell’Europa. L’Europa maltrattata da Trump, ma anche qui sono tra quelli che pensano che forse questi strattoni, queste critiche, che si possono in parte anche respingere, possano servire da stimolo su un piano strutturale dell’Europa medesima, sia politico, quindi dell’Unione Europea, sia geopolitico, ovvero dell’Europa comprensiva della Gran Bretagna.
L’Europa non può essere solo quella che vive di una pace duratura per sempre (fatta eccezione per la guerra civile nell’ex Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta). Quella dell’Occidente vittorioso dopo la caduta del Muro di Berlino. Un’Europa solo culla della civiltà, giustamente, e della democrazia. L’Europa normativa e l’Europa delle sanzioni, l’Europa che discute degli asset russi, quindi dei beni russi, con mille difficoltà giuridiche, perché noi, come Paesi europei, non siamo in guerra con la Federazione Russa e, nello stesso tempo, non sappiamo bene se quei soldi siano anche del popolo russo.
Ma lasciamo perdere questo argomento complicato, che affronteremo in un altro editoriale.
Parliamo dell’Europa che reagisce a queste critiche, che si dà una mossa, che cerca di essere protagonista in questa trattativa di pace. Cominciamo con l’analisi di quella situazione che noi chiamiamo “il gruppo dei volenterosi”: un termine che a me non piace, fa pensare agli uomini di buona volontà. In realtà i volenterosi sono quei Paesi europei che hanno la volontà di fare qualcosa che va al di là delle regole formali delle istituzioni europee, che forse andrebbero anche riviste.
La Germania, la Francia, l’Inghilterra (che non è nell’Unione Europea) sono Paesi che cercano di avere un ruolo e di costruire un format nuovo, per dire che magari, dentro la laboriosa macchina dell’Europa, in termini di politica estera, di un esercito comune di cui si discute — ma di cui non si vede ancora nessuna alba, né in termini di governance né in termini pratici — e di un riarmo che spaventa l’opinione pubblica occidentale (pensiamo all’Italia: tutte le manifestazioni, le opposizioni, il mondo progressista che sostiene che ogni euro speso in quel settore venga tolto al welfare e alla sanità), qualcosa si può comunque muovere.
In un’Europa così laboriosa, alla fine i volenterosi rappresentano un passo in avanti e stanno dialogando con Zelensky e con Trump per dare un loro contributo a una trattativa di pace che non è stata respinta del tutto da Putin.
Putin sicuramente la respinge in buona parte, perché il tema dei territori occupati e quello del futuro dell’Ucraina rimangono ancora largamente da decidere.
Dicevamo dunque di un nuovo format. E l’Italia che posizione ha in questo senso? Ci sono state critiche molto forti al discorso di Meloni in Parlamento, prima del Consiglio europeo, che è l’organo di decisione quasi “editoriale”, di definizione delle linee politiche dell’Europa, mentre la Commissione europea è il governo e il Parlamento fa il Parlamento.
Ma Giorgia Meloni, in fondo, è rimasta su una posizione intermedia, molto comprensibile, perché dialoga con i volenterosi, restando però in una posizione di relativa distanza politica per non compromettere, in senso costruttivo, i rapporti con Trump.
Meloni ha spiegato la posizione dell’Italia nell’informativa che un premier tiene sempre in Parlamento prima di andare al Consiglio europeo, che è il grande governo, il luogo in cui i capi di Stato e di governo tracciano le linee anche della grande politica estera dell’Unione europea e dell’Europa nel suo complesso, come si è detto, perché la Gran Bretagna è parte di questa vicenda in questo momento.
Un’informativa che riguarda una posizione stabile sull’Ucraina, riguarda comunque le armi che noi inviamo, anche senza specificarne la natura, riguarda un appoggio complessivo ma equilibrato.
Il nostro premier e il nostro governo, in questo momento, sono in una posizione di baricentro rispetto all’Europa istituzionale, rispetto ai volenterosi (che abbiamo spiegato essere un nuovo format di governance), rispetto a Trump e all’America che sta trattando con Putin.
L’obiettivo resta quello della pace. Giusta o non giusta, ma pace, perché pace vuol dire che si smette di morire, si smette di distruggere.
Forse ci siamo vicini, forse tutto questo può servire. Certo è che noi siamo parte di un’Europa che, in questo momento, partecipa — e partecipa nel modo giusto — a quello che potrebbe essere il grande evento che ci attende tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo.
L’articolo La volontà di pace proviene da IlNewyorkese.





