L’unità di cani da terapia nel NYPD per ridurre burnout e suicidi degli agenti

Alcune ore dopo l’attacco armato di luglio in un grattacielo di Park Avenue, dove un uomo ha ucciso quattro persone, la sergente Karolina Ostrowska-Tuznik è andata in ospedale per incontrare alcuni agenti coinvolti nei soccorsi, tra cui quelli che avevano portato fuori dall’edificio il corpo del detective Didarul Islam. Con lei c’era Emma, un Labrador nero di 2 anni, uno dei cani impiegati dal NYPD in un’unità di supporto psicologico pensata per intervenire in momenti critici per il personale.

Emma e la sergente Karolina Ostrowska-Tuznik fanno parte della “wellness unit” del dipartimento che usa i cosiddetti facility dogs: cani addestrati non per attività operative (come ricerca di esplosivi o sostanze, o inseguimento), ma per stare accanto agli agenti in situazioni ad alto impatto emotivo. Il team viene attivato 24 ore su 24 dopo suicidi di colleghi, morti improvvise, funerali, o quando un comando segnala che in un distretto c’è un livello di stress considerato preoccupante. I membri dell’unità sostengono che la presenza del cane abbassi le difese e renda più facile parlare di ansia, lutto e burnout, temi che in ambienti molto gerarchici e “performativi” spesso restano sotto traccia.

Negli ultimi dodici mesi però il programma si è ridotto: due dei quattro cani e dei rispettivi conduttori sono andati in pensione e non risulta un piano immediato per rimpiazzarli. Il dipartimento vive una fase in cui, sotto la commissaria Jessica Tisch, sta spingendo per spostare più personale dalle mansioni d’ufficio al pattugliamento, con l’obiettivo dichiarato di aumentare la presenza in strada. In una nota, il NYPD ha detto che è «prassi standard» rivedere l’efficacia dei programmi e che le modifiche organizzative servono anche a «ripristinare la fiducia pubblica» e a migliorare la distribuzione degli agenti, citando “numeri di criminalità ai minimi” come risultato.

Il progetto era nato dentro la Health and Wellness Section, creata nel 2019 dopo che dieci agenti del dipartimento erano morti per suicidio, alimentando un dibattito interno sulla salute mentale. Nel 2021 erano arrivati due Labrador, Jenny e Piper; nel 2024 si erano aggiunte Emma e Glory e si era parlato di estendere la presenza con altri sei cani distribuiti nei cinque distretti cittadini. Oggi, invece, i passaggi di consegne sono fermi: dopo il ritiro di Piper e del suo conduttore, un cane (Thunder) e un agente avevano iniziato un addestramento di due settimane per sostituirli, ma il piano non è stato approvato e Thunder è tornato a Puppies Behind Bars, il programma (gestito in un carcere nello stato di New York) che alleva e addestra cuccioli per ruoli di servizio e terapeutici e forma anche i futuri conduttori.

Il ridimensionamento si scontra anche con alcune dinamiche interne al dipartimento: Ostrowska-Tuznik racconta di aver chiesto più volte in estate la sostituzione dei cani in pensione senza ricevere risposta, e di trovarsi ora con la propria posizione “sospesa” perché idonea a una promozione a tenente, promozione che però – secondo quanto sostiene – comporterebbe l’uscita dall’unità e il rientro in pattuglia. Su questo punto ha avviato una causa contro il dipartimento e contro Tisch, sostenendo che la condizione imposta a lei sia discriminatoria sul piano di genere, perché alcuni uomini sarebbero stati promossi senza dover lasciare le rispettive unità. Il NYPD ribatte che l’invio in pattuglia dopo le promozioni è una policy di lunga data e che nel 2025 meno dell’1 per cento dei promossi è rimasto nel proprio reparto, con eccezioni legate a unità specialistiche già operative “sul campo” (come aviazione, sommozzatori e squadre investigative).

Dietro lo scontro c’è anche una discussione più ampia su cosa “vale” in un dipartimento con carenze di personale: i cani terapeutici non fanno arresti e non risolvono casi, e questa è da sempre una delle obiezioni interne, secondo Kenneth Quick, ex ispettore che contribuì a creare l’unità. Chi difende il progetto sostiene però che l’effetto sia indiretto: ridurre lo stigma, far emergere disagio prima che diventi crisi, e quindi proteggere la capacità operativa del dipartimento per far sì che arresti e casi vengano risolti da umani sani – e non dai cani.

Ogni cane costa circa 60.000 dollari di addestramento, coperti tramite una partnership tra Puppies Behind Bars e la New York City Police Foundation. Ostrowska-Tuznik, intanto, dice che anche se le è stato prospettato che potrebbe tenere Emma come animale domestico in caso di trasferimento, il punto per lei è un altro: il rischio è che, con ulteriori pensionamenti, resti un solo cane operativo e che l’intero progetto venga di fatto svuotato.

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